Valloriate, 3 luglio 2022, diario di pace
Il confine si è sbiadito fino a perdersi tra le montagne, ma resta inciso nella pietra, memoria della Valle Stura e di quel sangue che è stato tributo alla frontiera dell’odio.
Valloriate, il Piemonte di Cuneo, si affaccia su un ruscello. Una vecchia casa con il tetto spiovente e ornata da un terrazzo di legno che sembra scricchiolare ad ogni passo, ne sente di certo il gorgoglio: luglio 1893, si legge su una targa di intonaco bianco bordata di rosso. Alla fine di quel secolo, la valle era già stata troppe volte attraversata dal rumore della guerra, dal passaggio dei soldati, per via di quell’odio che aveva opposto popoli fratelli, l’uno contro l’altro, per secoli.
L’Italia, quando ancora non era Italia e la Francia, dall’altra parte.
Sono lastre di pietra, invece, quelle che di altre guerre portano il peso.
“Ai prodi valloriatesi caduti nella guerra 1915-1918”.
Antonio, Pietro, Matteo, Michele, Giuseppe. Nomi diversi, ma gli stessi cognomi.
“Valloriate, in omaggio ai suoi valorosi figli caduti per la patria 1940 – 1945”.
Giorgio, Matteo, Alessio, ancora nomi diversi ma gli stessi cognomi, gli stessi di vent’anni prima. Poco più in basso, in quella medesima pietra che porta scolpita una croce, si ricordano i “Caduti per la libertà”. Bussone, il cognome degli uni e degli altri. Bernardi, il cognome degli uni e degli altri. Morti su fronti diversi.
Appesi ai muri del palazzo del municipio, i nomi di quelle anime guardano la placida piazza, dove un pezzo di roccia è memoria di tutti, “caduti e dispersi di tutte le guerre”.
Una piccola, placida piazza, in un paese che di anime non ne fa cento.
Erano passati in questa valle i soldati dei Savoia, 30 mila uomini contro il Delfinato di Francia, passati di qui i soldati di tante altre guerre, quella di successione austriaca, delle campagne di Napoleone. L’avevano fortificata la valle, sempre di più. Il forte Alberino è il simbolo di quanto esposta si sempre stata questa terra: ci vollero quattromila operai, nell’Ottocento, per costruire quest’opera che divenne però presto obsoleta.
Due linee difensive, invece, furono l’eredità del periodo fascista che queste valli trapunse di vittime, militari e civili.
“Direttrice della Maddalena”, doveva essere una delle linee di penetrazione verso la Francia. Valle cruciale, la Valle Stura, nei disegni di Mussolini che aveva dichiarato la guerra. Valle cruciale divenne di un’altra guerra, quella combattuta dalla Resistenza italiana, che in queste montagne ebbe la culla.
“Al riparo dai lupi”, Paraloup è il nome della borgata a 1360 metri di quota, nel vallone di Rittana. Pascolo estivo, di baite per accogliere pastori, fu quartier generale dei partigiani di Giustizia e Libertà. Ci radunarono oltre duecento giovani, per formarsi alla lotta politica e militare. Partigiani, gente di montagna e alcuni tra gli ebrei che erano fuggiti da San Martin Vésubie, quelli che non erano finiti nelle mani dei tedeschi. “Uomini e donne dai capelli bianchi, bambini in tenera età gente nella più gran parte ridotta in miseria … provenivano da tutte le nazioni, Polonia, Germania, Cecoslovacchia, Francia … abituati in tempi normali ad una vita agiata … ora ridotti a fuggire come selvaggina inseguita dai cani e dai cacciatori su per i monti”.
Le lastre di marmo ricordano cosa è stata la guerra, gridano quel mai più da cui è nata la pace. Ci ricordano l’Europa dove fratelli davano la caccia ai fratelli, l’Europa che uscita dal Secondo conflitto mondiale, ha scelto il “mai più”, ha scelto di provare la strada del dialogo, di deporre per sempre le armi. Cercare la pace, sempre, anche quando le guerre sono lontane, onora quei morti. La guerra rende vano quel sangue versato, disperde l’eredità che quegli uomini morti per noi, ci hanno lasciato.
E per chi volesse ascoltare la voce di chi prova a costurire la pace, il mio libro “La maccanica della pace”, lo trovate qui: https://www.peoplepub.it/pagina…/la-meccanica-della-pace