Il 22 febbraio del 2021 ero a Kinshasa, in un mercato di arte africana per scegliere piccoli strumenti musicali da regalare ai miei nipoti, di quelli con semi o sassolini dentro, quando mi è arrivato un messaggio da Goma. Avevano ucciso l’ambasciatore italiano, Luca Attanasio, e qualcun altro, ma si sapeva poco. Sono corsa a chiedere conferma alla nostra sede diplomatica, la sede dove ero stata l’ultima volta prima del mio viaggio all’Est, per quello che non immaginavo sarebbe stato l’ultimo colloquio che l’ambasciatore avrebbe avuto con un giornalista. Poi, un altro messaggio, con una fotografia. La notizia era confermata, il luogo anche. Era la Route National 2 che tre giorni prima avevo percorso con lo stesso convoglio del Programma alimentare mondiale per visitare quegli stessi progetti che erano l’obiettivo del viaggio dell’ambasciatore in una delle regioni più pericolose del mondo. Quella strada, allora, era considerata un po’ meno a rischio di quanto non fossero le sterrate in Ituri, dove pure ero stata disobbedendo all’invito di Luca Attanasio a non andarci – era un uomo che conosceva bene il territorio – , o le regioni più a nord, verso Beni. Era pur sempre una zona di guerra, con quei centoventi gruppi armati che uccidevano, e uccidono, ogni giorno. Non le ho ancora mai usate, le immagini e le storie di quella mia giornata lungo la RN2, di cui vedete qui uno scorcio che pubblico spesso, lo farò.
Il dubbio, che è una quasi tragica certezza, che non si arriverà ad una verità, è devastante. Devastante per le famiglie di Luca Attanasio, Mustapha Milambo e Vittorio Iacovacci, devastante perché questo è quello che accade nella Repubblica democratica del Congo da trent’anni. Esiste un rapporto, il Rapporto Mapping, che documenta crimini efferati commessi dal 1993 al 2003 per i quali nessuno ha mai pagato e che si commettono anche oggi nella più completa impunità. Ho raccolto voci di vittime, testimoni, ricevo con una cadenza che sembra un rito, notizie e immagini di morti ammazzati, stragi, devastazione. Nessuno paga, e nessuno se ne cura.
La guerra si sta acutizzando, vecchi e nuovi attori si stanno riarmando, l’Occidente e i Paesi dell’area, come i potentati e le elite locali guardano con la bava alla bocca quel caos che è una pozza di sangue mentre si spartiscono le spoglie di una terra troppo gonfia di ogni benedizione geologica per meritarsi la Pace.
Se vogliamo che le morti di quei tre uomini che con il loro sacrificio hanno acceso una luce sul Congo non siano morti vane, la verità che dobbiamo dirci è che ad averli uccisi è la guerra: è quella che non dobbiamo smettere raccontare e chiedere di fermare, sapendo che ne siamo parte, non spettatori.
Se mai si troverà una verità giudiziaria, che è necessaria, non possiamo tacere che siamo tutti noi i mandanti, noi Occidente dalla pietà a geometria variabile. Oro, cobalto, litio, tantalio, coltan, tungsteno, diamanti, stango e tante altre risorse necessarie alla nostra vita quotidiana vengono da lì, ed è per questo che si muore, per questo la RN2 non è la strada che collega i popoli e le culture dei grandi laghi, ma una fossa alla luce del sole la cui puzza non ci raggiunge. Non si muore per quella che derubrichiamo sempre, per ignoranza ma anche malafede, a guerra “etnica”. La guerra è sempre, e solo, un grande affare o il mezzo per fare grandi affari.
Per quanto ho potuto capire di Luca Attanasio, credo che avrebbe voluto questo: tenere accesa la luce su quel Paese che amava. “Vada a Bukavo se può, è un luogo bellissimo”. A Bukavu non ci sono stata ma, il Congo è una terra strodianrinente bella, di donne e uomini che ci insegnano ogni giorno cosa significa cercare pace.