Le sopracciglia leggermente aggrottate, come a trattenere un’intuizione che non può andare perduta, come se il tempo non fosse abbastanza. Il corpo saldo, fermo, ben piantato, radicato nel presente. In mano, la sapienza che scriverà il futuro, fogli di marmo bianco che Bartolo riempirà di quella scienza divenuta architettura della nostra società.

La statua nel cortile d’onore della Corte di Cassazione a Roma campeggia, nel dettaglio di un volto stampato su grandi manifesti, nella sala comunale di un piccolo borgo marchigiano, Sassoferrato, dove si tiene la prima edizione del Premio per le scienze giuridiche e politico sociali intitolato al giurista forse più celebrato di tutti i tempi.

A vincerlo uno storico francese, Jean-Louis Halperin con il volume Histoire des droits en Europe de 1750 à nos jours in cui si raccontano le trasformazioni cruciali del diritto dal Settecento a oggi, gli snodi fondamentali della costruzione europea; e una giovane studiosa italiana, Arianna Liuti, per un’opera prima, Il Blazing World di Margaret Cavendish e l’utopia della Restaurazione, che nel narrare le contraddizioni di una donna e di un’epoca ci mostra come la vera utopia sia riavvolgere la storia, “perché non si può tornare indietro, non si può arrestare il tempo”.

Studiosi, qualcuno direbbe eruditi, gli scienziati seduti sulle poltrone di velluto eredi di Bartolo. Li osservo immersi nel racconto di una storia apparentemente lontana e distante, come distante è all’apparenza l’opera del giurista trecentesco che anni fa ammirai, proprio qui, affidata ad antichi libri, preziose cinquecentine. Eppure la loro è una scienza appassionata di presente e che conduce al cuore del nostro tempo, nella società in cui viviamo, ed anche dentro quegli equilibri fragili che fanno la differenza tra un tempo di pace ed uno di guerra. Perché il diritto, la legge, e la riflessione su di essa hanno contributo alla forma del nostro mondo, una forma per la quale a Bartolo siamo debitori.

C’è una punta di orgoglio nel mio scrivere, oggi, perché in questa terra ci sono alcune delle mie radici. “Lucerna iuris”, “oracolo di Apollo”, paragonato a Dante, osannato già in vita, mito per generazioni di studiosi, Bartolo è nato qui e qui la sua vita ed eredità continua ad essere indagata e diffusa dall’Istituto internazionale di studi piceni.  Una vita tanto breve quanto intensa, e a tratti misteriosa, in quel Trecento di mutamenti che hanno fatto l’Europa. Una vita così intensa da lasciarci un’opera vastissima che è materia viva, sostanza delle nostre leggi e del moderno diritto internazionale, soprattutto idea potente di una “norma” che deve coniugarsi con la quotidianità degli uomini. Il suo de Tyranno, lucido atto d’accusa contro l’arbitrio e la legittimazione del potere sulla base della sola forza, rappresenta un passaggio fondamentale nella costruzione del diritto pubblico europeo, come la sua lezione sulla coesistenza di una pluralità di ordinamenti, dal più piccolo, fino a quello universale, allora chiamato “Impero”.

Qui, ai piedi dell’Appennino, si premiano le donne e uomini che continuano a interrogarsi sul ruolo del diritto nella nostra vita. Un premio per le scienze giuridiche, ma anche “politico sociali” perché questo fu Bartolo, alla cui scuola arrivavano giovani da tutta l’Europa. Un maestro, simbolo della cultura italiana, tra gli “spiriti grandi di quell’epoca che continuano ad insegnare umanità … La (sua) opera ha dato una impronta decisiva e permanente alla cultura politica giuridica europea”, ha ricordato Diego Quaglioni.

“Mos italicus e mos gallicus nel XXI secolo”: aggiunge complessità a complessità, Halperin, nella sua lectio magistralis. Eppure, il confronto tra le scuole italiana e francese d’interpretazione del diritto, non è solo materia per gli studiosi, ma comparazione fondamentale che mostra non solo quanto il “diritto italiano [sia stato] un fenomeno fondamentale per il diritto europeo”, come ha ricordato Halperin, ma anche come sia davvero impossibile parlare di culture giuridiche – e dunque politiche – “nazionali”. “Nazionalismo giuridico”, che lo spirito comparativo smonta pezzo per pezzo, insieme a quello che lo storico francese chiama “determinismo delle frontiere”.

Da Sassoferrato, da questa terra di grandi giuristi, giunge dunque un invito a interrogare la storia, a usare la scienza, a entrare nella complessità della formazione delle nostre leggi – di europei – per sfidare pregiudizi e luoghi comuni – molti, come quello citato che vuole la Francia stato laico per eccellenza contro un’Italia sempre e solo confessionale – che fuori dagli spazi inaccessibili della ricerca diventano fondamento di una visione del mondo, della nostra convivenza, dell’organizzazione dello Stato.  Un invito da accogliere, ancora di più oggi, in un tempo in cui la storia secolare del tentativo di bandire la forza come strumento di relazione tra esseri umani, comunità e poteri, rischia di essere dimenticata e tradita.