Un passo, poi un altro, e un altro ancora, e di nuovo un altro, nonostante il caldo, il freddo, la fatica e il sonno. Tanti piccoli passi per un solo abbraccio.

Ci vuole molto coraggio, ma con un solo abbraccio, un passo può farlo il mondo intero.

Romeo Cox, dieci anni, di passi ne ha fatti tanti, lungo i 2800 km che separano la città di Palermo da Londra. E in quel lungo camminare ha incontrato il camminare di altri ragazzi, di uomini e donne arrivati da molto lontano, alcuni perché costretti a fuggire. E ha fatto muovere di altrettanti piccoli passi un esercito di donatori che hanno sostenuto il progetto della noprofit REACTRefugee Education Across Conflicts Trust – destinato a dotare i ragazzi più fragili del capoluogo siciliano degli strumenti necessari a studiare a distanza.

Ma tutto è nato per amore di una nonna.

Romeo, mamma italiana e papà inglese, vive in Sicilia e durante i mesi di lockdown ha pianificato segretamente il percorso che l’avrebbe portato oltre la Manica, senza prendere aereo o treno, per riabbracciare nonna Rosemary. “Ricordo benissimo, stavo guardando Youtube e ho pensato: Se riesco a camminare fino al negozio [qui vicino], riesco a camminare 2800 km”, racconta Romeo.

Convincere i genitori è stata la prima prova di determinazione e il ragazzo ha davvero usato tutte le armi a sua disposizione. “Li ho convinti chiedendoglielo tante volte: ogni mattina, ad ogni pranzo, ogni sera. Ogni volta che li vedevo, la prima domanda [era]: “Mamma, possiamo fare questo viaggio? Papà, possiamo fare questo viaggio?” Quando mi dicevano di fare una cosa, la facevo, anche se erano i compiti ed era il momento di giocare ai videogiochi … Dopo cinquanta volte hanno detto sì”.

Paura, voglia di divertirsi, ma anche ispirare. E’ con questi sentimenti che Romeo si è messo in marcia, portandosi dietro anche il papà, in un giovedì di fine giugno. “[Il giorno prima di partire] mi sono sentito di sognarlo, non di farlo [questo viaggio]. [Come se non fosse vero]. A cena muovevo la gamba, ero spaventato, contento, nervoso”.

A piedi, in barca a vela, in bicicletta o con l’aiuto di un asinello, senza combustibili fossili che “fanno male al pianeta”:“Volevo far vedere che il nostro corpo è abituato a camminare, è nato per camminare, per creare, per essere creativo”.

A piedi dalla Sicilia, lungo la pensiola italiana – dove spesso case abbandonate ed immondizia segnano il paesaggio – il percorso ha attraversato campagne, montagne, periferie urbane e centri storici, una diversità di paesaggio che assomiglia alla diversità di cui sono fatti gli esseri umani: “[Passando in questi luoghi] mi viene in mente che sono un “superumano” che abita nella natura e nella città. Sono metà fatto di natura – quindi immagino che il mio corpo sul lato destro sia pieno di foglie, alberi, campagna; mentre sulla sinistra vedo delle case, il pavimento, immondizia, macchine. E nel mezzo, il cervello che contiene queste due parti, il che è molto difficile”.

Conciliare natura e città, sviluppo urbano o industriale e rispetto dell’ambiente, non è una sfida facile, se ne accorge Romeo mentre fa tappa nelle grandi città, che con le loro macchine e lo smog – spiega – fanno ammalare la natura e anche l’uomo, perché “un campo pieno di grano … è’ grano che poi mangi, come pane e biscotti … e lo smog diventa nuvole e [ha un effetto sull’ambiente]”.

Camminare per incontrare

La strada scelta da Romeo ha seguito molti tratti della via Francigena, quella percorsa per secoli dai pellegrini. Lungo questo cammino, la vita del giovane italo-inglese ha intrecciato molte altre vite, “nuove persone” da comprendere.

Sguardo attento, sempre in ascolto, Romeo si ferma a Napoli, gioca in piazza con i ragazzi e percorre i vicoli del cuore antico della città. Si stupisce perché il centro partenopeo non è la “metropoli” piena di traffico con le grandi catene di negozi tutti uguali che immaginava. Assomiglia a Palermo, con le viuzze “bellissime” che ricordano quelle di Ballarò, il quartiere in cui abita, e “luoghi magnifici, ma abbandonati”. Le persone, anche qui, parlano in dialetto e i giovani, come lui, giocano per strada.

“[Le cose diverse che vedo] mi fanno pensare che il mondo è pieno di culture e tradizioni … Mi ricordo una piccola città: entriamo in un bar, non c’era praticamente niente, a parte un panino o qualcosa del genere. Chiediamo al signore [del locale]: Dove sono le cose? Qui non c’è niente, a parte la nostra tradizione, [risponde]”.

Rompere barriere e costruire ponti non è, però, sempre facile. Romeo fa amicizia subito eppure a volte la diversità richiede una cura speciale, un passo in più verso l’altro: “Quando incontri una persona che è un po’ diversa da quello che pensi … se lui non ti guarda, non parla tanto, tu gli parli di qualcosa [che ama]. Se a lui piace il Lego, per esempio, gli parli di questo … Cerco ciò che gli piace … Devi fare sempre come se tu fossi l’ospite e lui il padrone della casa, e devi andare dalla sua [parte]”.

Il calcio è la grande passione di Romeo, e dove c’è un pallone è subito legame: “[Ho giocato] a Messina, Agropoli, Salerno, Napoli, Roma … Il calcio ti aiuta a fare amicizia, aiuta il corpo, corri tanto, sudi e ti fa bene”. E a Roma, a calcio, Romeo gioca in un campo dove a cercare il goal sono ragazzi che il viaggio, lunghissimo, l’hanno compiuto per forza, fuggendo guerre, fame e miseria. Da soli.

Alla Città dei Ragazzi, vera e propria città che accoglie minori fragili e immagina percorsi di inserimento sociale, l’associazione Liberi Nantes allena un gruppo di giovani atleti: Batman, che dall’Albania a dieci anni ha viaggiato per 800 km; Ronaldo – 2150 km – dall’Egitto, come Salah, che ha trascorso un anno in viaggio, e Balou; Ibrahimovic e Panda, anche loro dall’Albania; e Ramos, 1300 km dalla Tunisia. Nomi immaginati, quelli dei loro miti – come scrive Romeo nella sua pagina Facebook – a celare l’identità di questi ragazzi che si affacciano al futuro lontano da casa.

Perchè un viaggio così lungo non l’ha fatto solo Romeo: “E’ fatto dagli invisibili, quelli a cui nessuno dà attenzione, quelli che attraversano in barca più di 2800 km per arrivare in un posto dove non c’è la guerra, dove c’è libertà, o dove non ci stanno tante difficoltà a causa della povertà …”.

“Mentre cammino penso sempre di vedere sulla strada dei piedi, quelli di chi ha fatto un viaggio come il mio. Immagino le persone che stanno camminando senza niente, senza zaini, senza acqua. Niente, anche a piedi scalzi”.

La scelta di raccogliere fondi – la raccolta ha superato le 18 mila sterline – per acquistare tablet, libri e strumenti per ragazzi come lui – siciliani e migranti che durante il lockdown non avevano i mezzi per studiare online – è, ancora una volta, una scelta che ha radici negli abbracci e nell’affetto. Perché quando Romeo si è trasferito in Sicilia dall’Inghilterra, è stata l’amicizia con un bambino del Ghana a aiutarlo ad ambientarsi in un paese nuovo e a comunicare in una lingua nuova: “Quando sono venuto a Palermo non sapevo dire una parola, ma lui che parla un po’ l’inglese mi ha aiutato molto con l’italiano …. E’ un amico, ci siamo scambiati tante cose e siamo insieme dalla prima volta che l’ho visto”.

Le storie di chi rischia la vita in mare arrivano a Romeo dalle strade di Palermo, ma anche dalla “televisione” che racconta di uomini e donne che “in barche di legno o di plastica” cercano la libertà, ma che a volte raggiungono solo altre terre inospitali: reclusi in luoghi che sembrano “prigioni” o costretti a cercare la sopravvivenza “in altre regioni dove è molto pericoloso, fare lavori pericolosi o tossici, che fanno male”.

Ne ha vista molta di umanità in marcia durante questo viaggio. Gente che in strada ci vive, “tante persone che non erano come noi, ma andavano, camminando, a lavoro o tornavano a casa, andavano a fare la spesa. Sull’autostrada, in Campania. Le scarpe erano molto rovinate, si vedevano i piedi. Mi ha colpito molto, mi sono sentito un po’ triste”.

“[Le persone si muovono] per motivi semplici, per andare a casa, per andare dormire. E ho pensato: E la bicicletta? E la macchina? … Forse non avevano i soldi per comprare quelle cose”.

Condividere la fatica

Con tutti coloro che camminano, Romeo ha condiviso la fatica. Alzarsi presto – alle 4; camminare con il caldo; cercare ospitalità, nelle chiese, nei conventi, nelle case degli amici; combattere contro la stanchezza, con il sole che picchia d’estate e uno zaino che “pesa quasi più di me”. E poi fare attenzione a mille cose, alle regole imposte dal Covid, alla strada quando si pedala o quando se capita di incontrare un branco di cani randagi, per non “sprecare la vita, che ti dà una chance”.

“Come faccio ad andare avanti [quando sono stanco o ho sete]? Ci troviamo un albero o dell’ombra, la cosa più importante. Poi, io e mio padre portiamo sempre delle bottiglie, anche piccole bottiglie, Fanta che ci dà un po’ di energia. E dobbiamo sempre bere l’acqua, sederci per almeno dieci, cinque minuti, e li si ricomincia …”.

In questo percorso da un’isola nel Mediterraneo ad una nel Mare del Nord, Romeo pensava che gli sarebbe mancata quell’acqua su cui si affaccia la città dove vive: “Pensavo mi sarebbe mancato sempre il mare perché avrei camminato come un pazzo. Però, mentre camminavo, non me ne accorgevo, ma eravamo sempre sulla costa, quindi potevamo andare al mare quando volevamo”.

La strada insegna che da soli le difficoltà non si superano, che bisogna “aiutarsi sempre a vicenda”, come hanno fatto lui e suo padre. “A volte penso a me stesso, ed è un po’ difficile. [Qui] ho imparato a pensare anche agli altri”. E insieme agli altri può capitare anche di perdersi.

“Perdersi è parte del viaggio, se non ti perdi …. vuol dire che non hai fatto un viaggio”.